Barbara Corsico: con le fotografie racconto il bello dell'architettura
Torinese, fotografa d'architettura tra le più apprezzate, racconta la passione per la bellezza, per gli edifici di legno e per Kengo Kuma. In Sardegna e in Giappone, i progetti più amati.
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Oggi Barbara Corsico, tra le più amate fotografe italiane d’architettura, mi racconta il suo lavoro, la sua idea del bello e la funzione della fotografia nel raccontarlo. E mi spiega perché la Sardegna e il Giappone sono per lei i progetti più belli.
Barbara Corsico: con la fotografia racconto il bello che c’è
Barbara Corsico è una delle più apprezzate fotografe italiane d'architettura. Impossibile scrivere sulle riviste specializzate senza imbattersi prima o poi nei suoi lavori. A me è capitato spesso e, complice il fatto che siamo entrambe torinesi, è stato facile darsi appuntamento per prendere qualcosa, visitare insieme mostre, scoprire comuni passioni come il design e la Sardegna e rimanere sempre in contatto.
Da anni volevo che mi raccontasse il suo lavoro, che è creativo e appassionante, comporta viaggi continui e incontri emozionanti. Lei è come uno slogan della Torino olimpica: Non sta mai ferma. Laureata in Architettura, ha iniziato a lavorare come fotografa in Irlanda, accanto a Gerry O'Leary, poi, messasi in proprio, è stata in molti Paesi, realizzando fotografie di architettura, interior design, viaggi. Attualmente è la fotografa ufficiale del Wood Architecture Prize by Klimahouse e sono sue le foto dei progetti vincitori. Sempre curiosa e pronta a sperimentare, usa anche un drone, con cui realizza foto e video aerei. Ha vinto numerosi premi tra cui, l'ultimo, la Menzione d'Onore del Tokyo International Photo Award, lo scorso anno.
- Dalla laurea in Architettura alla fotografia d'architettura. Come è successo?
Mio padre è un grande appassionato di fotografia, ma non ho mai avuto questo fuoco sacro. Da piccola volevo fare l'artista, mi piaceva rappresentare, disegnavo tantissimo. Dopo le superiori avrei voluto frequentare il DAMS o l'Accademia delle Belle Arti, ma il DAMS era a Bologna e i miei mi hanno disincentivato sull'Accademia perché, come si diceva allora, una laurea è più sicura e trovi lavoro più facilmente. Architettura è stata quindi un ripiego, ma poi me ne sono innamorata e, innamorandomene, mi sono innamorata della fotografia come mezzo per rappresentarla. La fotografia ha soddisfatto il mio bisogno di rappresentare il bello che vedevo nell'architettura per raccontarlo agli altri. Questa è anche la ragione per cui mi piace fare la post-produzione: perseguo il bello che c'è nella realtà.
- E cosa ti piace del fotografare?
Riuscire a comunicare il lavoro faticoso degli architetti, perché dietro a un progetto ci sono molti sforzi e tanta passione. Bisogna risolvere i problemi, ci sono i compromessi, i limiti, la burocrazia. Poter comunicare al meglio il risultato di quella fatica, affinché lo possa apprezzare un pubblico vasto, è una bella soddisfazione.
- Architettura o interior design?
Negli anni ho iniziato a preferire l'interior design. Anche per ragioni pratiche: quando lavoravo in Irlanda, passavamo intere giornate con la pioggia, che complicava il lavoro, per cui lavorare nell'interior design era un sollievo! Ma a parte questo, dopo aver lasciato Gerry O'Leary, ho cercato clienti nell'interior design, come una forma di rispetto e di gratitudine per lui, attivo nell'architettura. In Irlanda e nei Paesi anglo-sassoni sono due realtà separate, i cui lavori non si sovrappongono; l'interior designer studia il mood della casa, disegna i mobili su misura. È molto diverso rispetto all'Italia.
- Sei fotografa da un paio di decenni. Come sono cambiate l'architettura, l'interior design e la stessa foto d'architettura?
È tutto molto diverso. L'architettura rispecchia il nostro modo di vivere, che è molto cambiato, non ci sono più i grandi appartamenti, si tende ad avere spazi più piccoli e con una maggiore funzionalità. Così l'interior design sta diventando più importante e si tende a un arredo disegnato su misura, perché dev'essere più funzionale e adeguato a uno spazio più piccolo. Nei progetti d'architettura veri e propri c'è maggiore attenzione per la sostenibilità, la crisi climatica è entrata prepotentemente nelle scelte progettuali; ovviamente c'è chi lo fa per seguire la moda, ma c'è anche chi ha capito la serietà della situazione e cerca le soluzioni più adeguate. È cambiata molto, ovviamente, anche la fotografia dell'architettura, in passato si usavano le foto iper sature, poi una nuova generazione di fotografi ha ammorbidito i colori e ha cambiato l'estetica. Anch'io preferisco i colori morbidi, adesso; nell'interior design amo le luci caravaggesche, il contrasto chiaro-scuro, ma ovviamente non lo applico ovunque. La prima regola è sempre cercare di soddisfare il cliente e fare in modo che lui comunichi al meglio.
- Cambiando anche la tua sensibilità, cosa ti piace fotografare adesso?
Mi piace l'architettura sostenibile, ci credo molto. E, grazie al lavoro che realizzo per il Wood Architecture Prize, mi sta piacendo tanto fotografare le strutture di legno; al di là della bellezza estetica, hanno il legno come struttura portante e soluzioni davvero interessanti e ho scoperto persone con un senso etico che condivido. Mi diverte fotografare gli interni, perché a volte faccio anche styling, ovvero un allestimento che non altera, ma valorizza la bellezza del progetto e dà visibilità ad artigiani e a designer. E poi c'è il mio adorato Mustras, un progetto sardo basato sul lavoro di artigiani e designer che unisce tutto quello che mi piace: una forte estetica artigianale, la riscoperta dei vecchi saperi e la ricerca di architetture sconosciute per far conoscere una Sardegna meno frequentata, in cui fotografiamo i prodotti artigianali realizzati. Lavorare con Fabrizio Felici, l'architetto che ha ideato Mustras, è uno dei miei top.
- Un fotografo d'architettura che ammiri e che ti ispira nel tuo lavoro?
Da quando ho iniziato a fotografare il mio preferito è sempre stato Fernando Guerra, molto pulito. Io non sono molto per i reportage, che vai lì è scatti, con un effetto "sporco". Preferisco aspettare, la luce giusta, la poesia, lui è così, è molto pulito, poi ama inserire le persone, cosa che a me piace tantissimo.
- L'edificio che non hai ancora fotografato e che hai come obiettivo?
Qualunque cosa di Kengo Kuma. Ho già fotografato alcuni dei suoi progetti, ho vinto un premio l'anno scorso con una foto di un edificio che ha realizzato a Vals, in Svizzera. Per me lui è il numero uno, l'apoteosi dell'etica e della bellezza. Il mio grande sogno è fotografare tutta la sua architettura.
- Sei torinese, un consiglio su un'architettura da fotografare a Torino?
Non amo molto Mario Botta, ma la sua chiesa del Sacro Volto e tutta la parte nuova del Parco Dora sono meravigliosi da fotografare, ci vado spesso. Poi il Lingotto, la sua rampa elicoidale, è un bellissimo posto, come la Torre Mirafiori. A Torino ci sono diverse cose un po' fuori dal comune che sono interessanti per i fotografi d'architettura.
- E quale città non ti stancheresti mai di fotografare?
Tokyo, ci tornerei 40 volte. Anche solo per fotografare il Tokyo Toilette project, è la rappresentazione di cosa è il Giappone. La poesia e il rispetto delle cose pubbliche: una città che ti dà dei bagni pubblici così, un uomo che li pulisce con attenzione, i fruitori che lo rispettano. Un mondo antitetico al nostro.
- Quella che invece ti manca e ti incuriosisce?
Più che una città sono territori e temi. Mi incuriosisce tantissimo il Giappone, non solo quello delle grandi città. E mi piacerebbe fotografare anche le architetture di legno del Nord Europa, non un posto specifico, ma in generale mi piacerebbe fare quello che faccio qui in Italia anche all'estero. Fotografare di più architetture di legno.
Il sito web di Barbara Corsico è www.barbaracorsico.com
Su instagram @barbaracorsicophotography
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