Qualcuno che conoscevo, bel romanzo d'esordio di Francesca Mautino
La maternità trigemellare, i disincanti della prima maturità e un cold case dimenticato. Il primo libro di Francesca Mautino è una bella sorpresa, in una Torino romantica e inaspettata
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Oggi Francesca Mautino mi racconta Qualcuno che conoscevo, il suo romanzo d’esordio, un giallo nella Torino contemporanea, che parla anche d'amore e disincanti intorno ai 35 anni, di fughe e di felicità da cercare. Bello anche il finale (tranquilli, non lo rivelo).
Francesca Mautino: sì, la fuga a volte è la soluzione
Ho scoperto Qualcuno che conoscevo, romanzo d'esordio di Francesca Mautino, per caso, su Instagram. Mi ha incuriosito perché si svolge a Torino, la mia città. Ho aperto il libro nel primo pomeriggio di un sabato di febbraio, pensando "vediamo com'è", e l'ho chiuso all'una di notte di quello stesso giorno, quando l'ho finito.
Valentina Bronti, thirty-and-something torinese, è madre di tre gemelle di tre anni, ha una relazione complicata con il loro padre, il giornalista Marco, e un'aspettativa dal lavoro che dura da troppo tempo. Un tentativo di fuga dall'asilo delle figlie le fa incontrare Chiara Barberis, mamma dell'altra bambina coinvolta nell'impresa, e le porta alla memoria Elisa, la sorella di Chiara, misteriosamente sparita dieci anni fa. Così, nella sua vita in cerca di direzione, si mette a studiare questo cold case dimenticato, ricostruisce il passato di Elisa, scopre meglio se stessa e arriva all'inaspettata soluzione.
La trama ha ritmo ed è coinvolgente, lo stile di scrittura è fresco, ironico e leggero. I temi affrontati sono seri e importanti, con alcuni è facile identificarsi, su altri è bello riflettere. E poi c'è Torino, che è spesso protagonista di gialli e molto meno di vicende romantiche e generazionali. Se non siete torinesi, amerete lo stesso questa città, così ben raccontata, che quando vuole sa essere un bello sfondo delle storie d'amore (Valentina dixit e io sono d'accordo, felice di scoprirla in questa nuova veste).
Incuriosita, forse si è capito, ho chiesto a Francesca Mautino di raccontarmi il suo bel libro.
- Chi è Valentina?
Valentina è nata prima della trama. Volevo scrivere di un personaggio femminile che raccontasse di sé in prima persona e volevo parlare di maternità, essendo mamma di due gemelli maschi. In questo ci sono spunti un po' autobiografici, perché avere figli gemelli è un po' più complesso di avere un figlio o figli di età simili. Mi hanno ispirato anche le conversazioni con le persone intorno e immagino che essere sulla soglia dei 40 anni implichi i primi bilanci. Si ripensa alle aspirazioni che si avevano, ai sogni non sempre realizzati, volevo queste atmosfere, un racconto un po' corale.
- Il libro nasce da una fuga, quella delle gemelle dall'asilo, ma, a un certo punto, Valentina e Marco scoprono il legame possibile tra fuga e felicità. Un concetto ricorrente nel libro. Davvero pensi che possa essere a volte la soluzione?
Sì, c'è sempre la retorica del non si può scappare dai problemi, comunque ti seguono, ma non so se sia proprio così. Penso che spesso non li affrontiamo, ma cerchiamo di tamponarli. È come quando ci sentiamo stressati e ci iscriviamo a yoga: forse lo stress nasce da altro e la soluzione non è nello yoga, ma nel cambiare quello che non va. La fuga non la penso necessariamente come recisione di tutti i legami e nuovo inizio altrove, ma come un'eliminazione di quello che non funziona per decidere di aprire una nuova pagina. Sì, credo che la soluzione possa essere lì.
- Un altro tema che ho molto apprezzato è la violenza psicologica esercitata da un uomo che si ritiene intellettualmente più forte sulla compagna di talento, ma più fragile. Se ne parla sempre poco, ma è una violenza dannosa quanto quella fisica, tu lo hai fatto con delicatezza, ma anche con decisione.
Sento molto vicino questo tema, per questo quando ho cercato l'argomento per la tesi di laurea di Elisa, ho pensato potesse essere una scrittrice poco nota, di quelle che non rientrano nelle antologie scolastiche. Mi sono ispirata vagamente a Fabrizia Ramondino e l'ho dotata di questo marito più anziano, Marcello Rapetti, intellettuale notissimo e apprezzato, che poteva avere tutte le donne che voleva e invece aveva scelto lei, perché manipolabile. Volevo che Elisa potesse identificarsi nella sua storia, per darle una sua conclusione, e allo stesso tempo, volevo parlare di una relazione tossica. Mi interessava anche raccontare le difficoltà delle donne a emergere artisticamente, rispetto alle figure maschili. La donna invisibile, anche se di talento, accanto all'uomo di successo, un classico.
- Nel libro racconti diverse storie d'amore, con toni disincantati. È così difficile salvare l'amore intorno ai 35-40 anni, quando si aggiungono le responsabilità familiari?
Sì, penso sia difficile accettare che l'amore cambia e diventa un'altra cosa, soprattutto se si ha una relazione iniziata intorno ai 20 anni. Anche nella mia vita personale ho visto come l'amore sia cambiato: il mio compagno e io stiamo insieme da dodici anni, abbiamo due figli, le responsabilità, la vita di tutti i giorni e spesso alla sera si finisce sfiniti sul divano. Siamo abituati a libri e film che ci raccontano l'innamoramento, i baci sotto la pioggia e poi finiscono lì, con la dichiarazione d'amore o il matrimonio. A me interessa cosa succede dopo, negli anni successivi. Perché poi bisogna accettare che la passione non dura per sempre, a volte dura anche poco e subentrano altre ragioni per le quali stare insieme, una progettualità in comune, il sostegno reciproco, la consapevolezza di avere accanto qualcuno per tutta la vita o per un largo tratto. Sono forme d'amore di cui non si parla mai.
- Mi hai fatto pensare ai danni fatti da Disney e Hollywood alle aspettative sull'amore.
Sì, ne hanno fatti parecchi (ride). Ma io pagherei subito il biglietto per un film che mi racconta cosa succede dopo l'ultimo bacio sullo schermo.
- Possiamo dire due parole su Elisa, che è la convitata di pietra del libro, la ragazza scomparsa, di cui ognuno ha ricordi molto diversi?
Elisa è un personaggio che ho faticato a inquadrare, volevo che Valentina si immedesimasse in lei e che, cercandola, capisse qualcosa in più di se stessa. Loro si sono sfiorate negli anni dell'Università, avevano conoscenze in comune, ma non si sono mai incontrate. A Elisa non piaceva quello che gli altri vedevano di lei ed è un tema che mi interessa: come mi vedo, come mi vedono. Spesso noi donne siamo rinchiuse in etichette, la donna in carriera, la mamma, la donna forte e non ci si riconosce nell'immagine che gli altri hanno di noi. A Elisa è successo questo e ho voluto che non potesse convivere con questa forzatura.
- E poi c'è Torino. Che città è da raccontare in letteratura?
Torino è un personaggio del libro, non una cartolina sullo sfondo. Per me è una città romantica, la si racconta molto come città magica, esoterica, noir, ma io non la sento così. È una città in evoluzione, che non ha trovato una sua identità, il passato industriale è ormai sfilacciato e bisogna capire cosa voglia essere adesso. Dall'esterno viene vista come una città austera e chiusa, i torinesi non troppo simpatici, in realtà io vivo qui molto bene. È una città che accompagna bene la solitudine, nel senso che riesci a vivere molto bene il tuo spazio personale e, allo stesso tempo, a costruire legami forti con le persone con cui vuoi farlo.
- Ci saranno altre storie per Valentina Bronti?
Mi piacerebbe, sì, sto scrivendo una nuova storia per lei e spero possa essere pubblicata, dipende ovviamente dal successo di Qualcuno che conoscevo. Non voglio farne una saga infinita, ma un paio di storie in più sì, me le immagino.
- Amo sempre fare questa domanda, ma se Qualcuno che conoscevo diventasse una serie televisiva, quali attori ti piacerebbe interpretassero i protagonisti?
Per Valentina non vorrei una bellona, ma un'attrice dalla bellezza 'normale', penso a qualcuna come Maria Chiara Giannetta, che ho molto apprezzato a Sanremo e in Blanca. Per Marco, non saprei, non ho in mente qualcuno in particolare, dovrebbe essere fascinoso, questo sì.
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